Da Catremerio a Sant’Antonio Abbandonato per il Corno dell’Arco

A fine luglio 1944, Sant’Antonio Abbandonato precipita nel terrore. Giorgio il Canadese, un ex prigioniero cipriota che si faceva passare per capitano medico, un personaggio impulsivo e spregiudicato che creò non pochi problemi alle brigate partigiane e alla popolazione, allontanandosi con alcuni compagni dal suo rifugio sul monte Cerro per recarsi in val Brembana incappò in tre ufficiali nazisti. Li uccise o così credette. Comunque lasciò ai paesani l’incarico di far sparire i corpi, per non rischiare la rappresaglia nazista. Il paese si mobilitò (e si salvò). I corpi occultati non vennero ritrovati che nel 1954, con rocambolesche vicende. Ripercorriamo con un facile e panoramicissimo giro ad anello i luoghi di quella vicenda.

 

Località di partenzaCatremerio, 988 m
Località di arrivoSant'Antonio Abbandonato, 990 m
Segnavia595-592 - bolli gialli
Tempo di percorrenza3 h
Ripari
Acquano
CartinaKompass n.105; Cai-Provincia n.7-4

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Lasciata l’auto in prossimità della chiesa di Catremerio (raggiungibile da Zogno o da Brembilla), imbocchiamo il sentiero 595 che sale nel bosco, attraversa una strada asfaltata e si porta a una forcella con un bel roccolo. Proseguendo sul crinale verso sinistra, raggiungiamo in un’oretta il rifugio Lupi di Brambilla al Pizzo Cerro: dalla vicina vetta (1285 m, cappelletta) si gode un ampio panorama sulla val Brembilla.

Riprendiamo da qui il percorso del gruppo di Giorgio il Canadese: torniamo sui nostri passi (nulla vieta una rapida puntata alla vetta del Castel Regina, 1424 m) senza scendere a Catremerio, ma rimanendo in quota sul sentiero 592 che percorre il crinale toccando diversi roccoli, sempre (fin troppo) segnato da bolli gialli.

Puntiamo alla forcella sopra Crosnello (1113 m, santella), da cui si può raggiungere anche la visibile frazione di Sussia Alta (1159 m), patria natale della guida alpina Antonio Baroni e teatro anch’essa di una vicenda partigiana. Attraversando la zona del Corno dell’Arco – in uno di questi dirupi furono gettati i corpi dei tre ufficiali tedeschi – si prosegue guidati dai segni gialli fino a giungere a un dosso da cui si scende decisamente sull’altro versante fino a raggiungere un sentiero piano che imboccato sulla destra porta a una cascina e quindi scende al rifugio Monte Zucco ai Foppi (1150 m, gestito dal Gesp, tel.0345.23050). Siamo ai prati dei Foppi alti, dove i partigiani sorpresero i tedeschi sdraiati a godersi il sole dopo essere saliti da san Pellegrino per la val Merlonga. Da qui in mezz’ora si può aggiungere la vetta del monte Zucco (1232 m, grande panorama e grande croce, cappellina e monumento ad Antonio Baroni).

Riprendiamo il sentiero in direzione opposta allo Zucco: attraversando prima una suggestiva zona di rocce e di “tunnel” vegetali sui sentieri e quindi splendidi prati, si costeggia lo Zuccone fino a giungere alla chiesa di Sant’Antonio Abbandonato. Da qui per mulattiera o strada si ritorna a Catremerio.

L’itinerario è naturalmente percorribile anche in senso opposto a quello descritto.

Quel crepaccio divenuto tomba

“E’ ormai sera quando, portati i prigionieri sull’orlo di una pozza d’acqua, il canadese in persona li stende con una raffica del suo sten. Poi si allontana con tutta la banda, prendendo come guida il boscaiolo più giovane, il renitente, e ordinando agli altri due di far sparire i cadaveri. (…) I due boscaioli si precipitano ad avvertire dell’accaduto la popolazione dei vicini abitati di Catremerio e Sant’Antonio Abbandonato. E’ il parroco di quest’ultima località, don Antonio Ruggeri, preoccupato per la sorte dei suoi parrocchiani, che si incarica di organizzare una squadra dei più coraggiosi per recarsi sul posto dell’eccidio e far sparire i cadaveri. Lungo la salita, il gruppo viene raggiunto da un’altra squadra proveniente da Catremerio, ma quando arrivano alla pozza si accorgono con grande sorpresa che i cadaveri sono scomparsi. (...) Si convincono che la raffica di mitra sparata dal canadese non è stata fatale per i tedeschi, i quali hanno cercato di mettersi in salvo e in quel momento, benché feriti, stanno scendendo a valle. Che fare? Non c’è tempo da perdere, bisogna rincorrerli e fermarli, prima che arrivino ad avvertire il loro comando, scatenando così una tremenda rappresaglia che può significare la distruzione delle due piccole comunità”. I tre ufficiali vennero raggiunti uno per uno e uccisi a sassate. I corpi vennero fatti precipitare in uno dei tanti profondi crepacci che si aprono nelle rocce della zona. I tedeschi setacciarono la zona, senza trovare nulla e senza che nessuno aprisse bocca: “una squadra arrivò fino all’imbocco del crepaccio nel quale erano stati fatti sparire i tre cadaveri. Ma la gente di Catremerio aveva provveduto per tempo a coprire le tracce della macabra operazione e per confondere i cani era stata gettata nel crepaccio una gran quantità di calce viva e vi era stata fatta precipitare anche la carcassa in decomposizione di una mucca. (…) E così lo scomodo nascondiglio non fu scoperto”.

Nel dopoguerra i familiari dei tre ufficiali tedeschi si fecero vivi per chiedere notizie, ma sulla vicenda era calata una cappa di piombo, che si sollevò solo nel 1954, quando un gruppo di speleologi venuto a conoscenza della vicenda iniziò le ricerche finché – grazie alla confessione di un protagonista – si trovarono i corpi, che poterono così essere sepolti decorosamente.

Tarcisio Bottani, Giuseppe Giupponi, I senza nome. Storie della Resistenza bergamasca, Sestante, Bergamo, 2001, pp. 144-147.