Da San Giovanni delle Formiche al Col Croce

La prima domenica dopo l’8 settembre ’43 nella chiesa di San Giovanni delle Formiche, tra Zandobbio e Foresto Sparso, si formò una delle primissime bande. Era il “Primo Battaglione Badoglio” promosso dal tenente Eraldo Locardi “Longhi”, milanese sfollato a Grumello, e costituito soprattutto da ex militari. La formazione – che si spostò tra Villongo, Vigolo, i colli di San Fermo – non durò a lungo e ai primi di novembre Locardi con alcuni compagni si unì al “Gruppo Patrioti Loveresi” guidato da Giovanni Brasi, gruppo che prese successivamente il nome “13 Martiri di Lovere”, tre di questi provenivano dal “Badoglio”: lo stesso Locardi, Mario Tognetti e Vittorio Lorenzini. In Valcalepio si stabilì successivamente il maggior distaccamento della brigata GL “Francesco Nullo”, che con fasi alterne giunse fino alla Liberazione.

Il percorso tocca alcune località della zona tra Foresto Sparso e le Gaiane, scenari di azioni partigiane e di rastrellamenti fascisti, passando in cresta con il sentiero 701. Questo segnavia indica un lungo itinerario un lungo itinerario che attraversa il basso Sebino.

 

Località di partenzaSan Giovanni delle Formiche, 612 m
Località di arrivoCol Croce, 669 m
Segnavia701 - Flavio Tasca - GVC
Tempo di salita2 h
Ripari
Acquano
CartinaKompass n.104; Cai-Provincia n. 9

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L’itinerario prende le mosse dal Santuario di San Giovanni delle Formiche, originario del XII secolo, collocato su un colle in incantevole posizione panoramica sul lago d’Iseo, sulle valli e sui monti. Percorreremo il crinale dei colli che racchiudono la valle del’Urio, dove giace Foresto Sparso, dividendolo dalla Selva di Zandobbio e dalla val Cavallina, seguendo il segnavia 701, ma troveremo anche numerose altre indicazioni, dal sentiero Flavio Tasca ad altri sentieri Cai.

Da San Giovanni si raggiunge per la strada asfaltata il valico tra Zandobbio e Foresto Sparso; si imbocca alle spalle della cappelletta la stradetta che ci porta rapidamente in quota, trasformandosi in sentiero che attraverso il bosco di castagni costeggia il monte Sega. Ignorando le deviazioni del sentiero 616 che scende alla Buca del Corno di Entratico, si procede sul sentiero che trasformato in carrareccia sbuca sul tornante di una strada asfaltata poco sopra le case di Foresto Sparso: si sale, raggiungendo in breve il passo della Sentinella, valico su Entratico. Qui sorge un edificio chiamato Casino e davanti al suo ingresso la cappellina che ricorda tre partigiani morti in combattimento. Si prosegue in direzione del pizzo Mosca (632 m) e del Monte Costa dei Ronchi (687 m), si attraversa il Bosco del Tuf, pascoli e capanni sempre restando sul versante che guarda su Foresto fino a calare sul Colle Croce (673 m), dove sorge una cappella (scendendo un centinaio di metri per la strada si raggiunge una fontana).

Oltrepassata la chiesetta, si imbocca il sentiero sulla destra (indicazioni), fino a raggiungere i fienili di Gaiana, a quota circa 900 m. Qui avvenne il rastrellamento del 20 ottobre ’44 che disperse la “Nullo”; la formazione si ricostituì nel gennaio ’45.

Il ritorno avviene per il percorso dell’andata, oppure, coordinandosi con i mezzi per il rientro con il 716 si scende ad Adrara San Martino.

Una sfida impegnativa consiste nel ripetere(grosso modo) il percorso che i partigiani del battaglione “Badoglio” effettuarono, guidati da “Tarzan” per raggiungere la formazione di “Montagna” con la quale si unirono. I partigiani erano partiti da Parzanica, dove si erano spostati. Noi, evitando di scendere su Adrara e risalire l’altro versante verso il Bronzone, dalle Gaiane con il sentiero 701 raggiungiamo il Col Caf (1246 m), oltre il Colle San Fermo e prima del Coletto (vedi itinerario 26). Si procede (indicazioni TPC, 701) per Camerotti (1222 m; poco oltre, sul Martinazzo, il “Badoglio” trovò una base nell’ultimo periodo), Cargadura, monte Pendola (1124 m), punta del Bert (1105 m) e prima di raggiungere il monte Creo si piega a sinistra sul sentiero 568 che cala a Fonteno (613 m). Si attraversa il paese, prendendo il sentiero 567 che alto sulla strada raggiunge e attraversa Solto Collina (450 m) e prosegue (TPC, 566) per Pianico (320 m). Dopo aver attraversato la Statale, si sta alti su Lovere e seguendo l’itinerario 23 (segnavia 551) si raggiunge Ceratello e da lì la capanna Rodari.

“Ocio ol lüff”

“Vita da braccati era quella dei nostri giovani in montagna. Quante volte ho assistito allo sciamare improvviso e preoccupante di giovani al grido convenzionale di “Ocio ol lüff”. Bastava che qualcuno avvistasse un repubblichino ai margini del paese e subito si diffondeva nell’aria il grido temuto. E rispondeva immediatamente dalla parte opposta la voce di uno sconosciuto cui faceva eco, ripetuto, il grido di altri dai luoghi più remoti e lontani. E i giovani scappavano. Sotto le viti c’erano delle gallerie; erano state costruite apposta. Ci nascondevamo là dentro”.

Carlo Cremaschi, Tormenta (Mario Zeduri), Tipografia la Moderna, Bergamo, 1956, p. 9.

“...ai primi di novembre decidemmo di compiere la prima vera azione militare. Ci occorreva però un camioncino e il comandante aveva avuto una segnalazione di un commerciante di formaggi di S. Rocco che ne possedeva uno. La sera scendemmo in sei e il comandante si recò da solo dal commerciante per la nostra bisogna. Entrando però nel garage per ritirare l’automezzo, il commerciante, che si era dimostrato accondiscendente e gentile, ostentando un’ulteriore gentilezza, favorì il passo al comandante e come questi fu entrato lo aggredì proditoriamente. Nella colluttazione dalla rivoltella del comandante partì un colpo che lo ferì ad un dito della mano sinistra. Lo sparo ci mise in allarme e il commerciante sparì nell’oscurità, mentre noi accorremmo in aiuto del comandante col quale tornammo poi alla nostra sede al colle Martinazzo, rinunciando così all’azione che effettuammo qualche sera dopo.

Infatti una domenica sera, procuratici delle biciclette, il comandante, io e altri quattro partigiani ci recammo a Sarnico alle scuole elementari, dove era alloggiato un piccolo reparto della milizia fascista formato da sei uomini al comando del sergente Mangialardo. Il nostro comandante si era procurato le chiavi e alle 11 di sera entrammo, svegliammo i militi e li facemmo prigionieri: erano solo tre, il sergente Mangialardo e due fratelli; gli altri erano in permesso. Prendemmo le armi di tutti e sei e portammo con noi i prigionieri caricandoli di tutte le coperte. Dopo alcuni chilometri uno dei due fratelli si mise a piangere forte pensando ai propri figli e, gettate a terra le coperte, se la diede a gambe levate senza fermarsi alla nostra intimazione di “alt” e il comandante, armato di mitra, dopo aver gridato di spostarci gli sparò. Caduto a terra a 60-70 metri da me lo raggiunsi e lo credetti morto; ero sconvolto, gli dissi qualcosa e lo abbandonai sul ciglio del fossato lungo la strada. Ho saputo soltanto alla fine della guerra che era soltanto ferito ad una gamba e che si era salvato”. 

Cesare Bettini, Memorie di un partigiano, I quaderni del portavoce, n. 28, 1995 (?), pp. 9-10.