Da Schilpario ai Fondi. E oltre

La Liberazione era arrivata, Schilpario era in festa. La gente in piazza a ridere e a ballare. Si sapeva che i fascisti e i tedeschi erano ancora in giro, ma era opinione comune che si sarebbero arresi. Era finita per tutti, anche per loro. E’ per questo che quando si diffuse la notizia, il pomeriggio del 28 aprile, che dal passo del Vivione stavano scendendo squadre fasciste in fuga dalla Valcamonica, un gruppo un po’ improvvisato andò loro incontro, sicuro di accoglierne la resa. Fu una strage: dodici i morti, falciati dalle mitraglie dei fascisti. Ben rievocano quel momento le parole che don Andrea Spada dettò per la lapide posta a ricordo dell’evento: “Chiari e nobili / Credettero che bastasse ormai / Venir cantando con la bandiera / Ad accogliere i fratelli alla libertà / Qui l’agguato / Falciò le loro care vite / O signore / Che questi monti / Non vedano / Mai più simili orrori”. Il nostro itinerario prende le mosse da Schilpario e raggiunge i Fondi, storico centro minerario, dove avvenne l’agguato. Una gita breve e piana, che facciamo proseguire su uno dei percorsi che i partigiani facevano per accompagnare fuggitivi ed ex prigionieri alleati verso la Valtellina e quindi la Svizzera.

 

Località di partenza e arrivo
Schilpario, 1127 m
Località di transitoFondi, 1250 m - passo del Vivione, 1828 m
Segnavia428 - 416 - 414
Tempo di salita1 h ai Fondi; 10 h l'intero giro
Ripari
Acqua
CartinaKompass n.94; Cai-Provincia n. 3

Scarica il percorso

Il tratto da Schilpario ai Fondi è una piacevolissima e breve passeggiata nei boschi sul bordo del torrente Dezzo. Gli edifici del complesso minerario – sono numerose le tracce di questa attività in tutta la zona – il monumento eretto nel 2011, la cappella di Santa Barbara edificata dopo la guerra a ricordo dei caduti in battaglia, sul lavoro e dei 12 partigiani, costituiscono il punto d’arrivo di questo primo tratto.

La nostra proposta è di proseguire l’escursione, sia toccando alcune località frequentate dai partigiani durante la Resistenza, sia ripetendo uno dei percorsi utilizzati per condurre in Valtellina e quindi in Svizzera rifugiati, ex prigionieri in fuga, ricercati di ogni genere.

Dai Fondi, tagliando per scorciatoie la strada asfaltata che sale al passo del Vivione, si raggiunge il rifugio Bagozza a Cimalbosco (1573 m), da cui uno sterrato (indicazioni, segnavia 428) conduce – passando per la Madonnina dei Campelli (1704 m), opera in bronzo dello scalvino Tommaso Pizio, collocata proprio di fronte al Cimon della Bagozza – alla Malga Bassa dei Campelli (1700 m), che fu base partigiana e quindi alla Malga Alta (1815 m). Da qui con breve digressione si raggiunge il passo Campelli (1890 m) che affaccia sulla Valcamonica. In questi pascoli, nella notte tra il 25 e il 26 maggio 1944, aerei inglesi effettuarono un consistente lancio di materiali per i partigiani.

Tornati alla Malga, si prosegue verso nord per strada sterrata, arrivando al passo e alla Malga Giovetto (1805 m). Si percorre quindi la cresta fino a quota 1942 m, attraversando una zona segnata dal lavoro minerario, e si scende al passo del Vivione (1828 m).

Dal passo – dove transita la strada che collega la val di Scalve con la Valcamonica e da cui scesero i fascisti autori della strage dei Fondi – inizia l’itinerario naturalistico dedicato dal Cai al suo fondatore Antonio Curò, che porta fino al rifugio Tagliaferri. Si prende a sinistra una strada sterrata (bacheca e cartelli, segnavia 416) che conduce alla Malga Gaffione (1825 m). (Se si vuole tagliare, o si vuole stare in beata solitudine, dai Fondi alla Malga Gaffione si può prendere il “sentiero delle torbiere”, segnavia 427, che nel primo tratto coincide con il “sentiero delle miniere”, segnavia 426).

Si può rientrare ai Fondi dal Vivione per questi sentieri, oppure calare direttamente a Schilpario per il sentiero 415 che dalla Malga raggiunge i laghetti delle Valli (1979 m) e quindi il roccolo di Busmino (1639 m).

Prima di raggiungere la Malga si prende il sentiero a destra e si inizia a salire nella valle che scende dal lago di Valbona (2055 m). Si supera il lago e, sempre con pendenza costante e con ampi tornanti, si sale la costa di Valbona e si arriva al passo del Gatto (2416 m, valico intagliato nel corso della Grande Guerra). Si scende, si superano i laghetti di San Carlo, dopodichè si arriva alla piana dei laghetti del Venerocolo e all'omonimo passo (2314 m). Da qui si scende alla Paghera e quindi a Schilpario, per il 414, strada militare della prima guerra mondiale, che costituisce un altro degli itinerari percorsi per raggiungere la Valtellina.

“Credettero che bastasse ormai venir cantando con la bandiera”

Testimonianza di Elia Rizzi: “Ero un ragazzo di soli 14 anni, quando verso le ore 10 del 28 aprile 1945, mi trovavo nella baita di proprietà del mio babbo in località Fondi. Mi si avvicinarono due uomini di circa 23-24 anni e mi chiesero delle bende e del disinfettante per sterilizzare le ferite. Io li mandai dal sig. Cossolini Battista, custode della polveriera delle miniere perché sapevo che teneva l’occorrente per il pronto soccorso. I due si erano presentati come due partigiani che avevano avuto uno scontro con dei fascisti ed erano rimasti feriti. (…) Poi, nel primo pomeriggio, i due, prima di andarsene, ci confidarono che al passo del Vivione c’era una compagnia di più di cento fascisti. Verso le 16,30 li abbiamo visti arrivare (…) Io, che come tutte le sere portavo il latte a Schilpario, informai i partigiani che erano in arrivo tutti questi soldati. Ritornai ai Fondi con mio cugino (…). Dopo una mezz’ora dal mio arrivo, noi eravamo un po’ tutti in vigilante attesa, abbiamo visto una decina di soldati di staffetta scendere verso di noi. Quando ci raggiunsero, ci chiesero a quanti chilometri distava Schilpario. In meno i dieci minuti arrivarono tutti gli altri. Erano tutti armati fino ai denti. Li contammo uno per uno ed erano 107. (…) Ci portarono nella casa degli operai e incominciarono subito a interrogarci. Già avevano iniziato a picchiare il sig. Cossolini, quando arrivò il loro comandante, il quale ordinò che noi due bambini fossimo portati al piano terra, dicendo agli altri “che i bambini non dovevano vedere uccidere”.

Testimonianza di Achille Mai: “Siamo andati avanti fino… che io volevo fermarmi… continuavo a dire “Fermiamoci qui, fermiamoci qui… non andiamo avanti col buio… piove, nevica…” Volevo fermarmi prima della salita… “Andiamo su a piedi, andiamo su a piedi… non sappiamo dove sono (…) vorremo mica andare fino al Vivione”. Con un baraccone perchè era più di duecento quintali… c’erano dentro 180 litri di nafta. Il Fantocci mi ha detto: “Hai paura, Achille?”. “No, non è questione di aver paura… è che siamo qui troppo stretti!”. Uno finiva per essere sopra l’altro… sui fanali c’era ancora quella mascherina dell’oscuramento, appena si vedeva”.

Testimonianza di Elia Rizzi: “Loro, come se sapessero che qualcuno stava per arrivare, si misero tutti in assetto di guerra; poco dopo l’imbrunire si vede spuntare in fondo alla discesa un camion. I militi erano tutti pronti (…). Quando il camion dei partigiani giunse al livello della casa operaia, quelli del camion chiamavano per nome il maggiore invitandolo ad arrendersi “che tutto era finito”, ma per risposta lui che in quel momento si trovava vicino a me ordinò il fuoco e in meno di un quarto d’ora i partigiani erano quasi tutti morti”.

Testimonianza di Achille Mai: “Gli uomini cominciavano a scendere dal camion, per dirgli di lasciare le armi. Vicino a me in cabina c’era proprio il tenente medico, lui si è alzato in piedi e gli ha gridato… lui aveva anche la fascia della Croce rossa, era vestito da militare, gli ha gridato dal finestrino: ‘Giù le armi, ragazzi, che non vi fanno niente…’. L’abbiano riconosciuto, sia stato qualcosa d’altro, fatto sta che si sono messi a sparare… noi non abbiamo potuto rispondere neanche con una fucilata”.

Testimonianze in Angelo Bendotti, “Sento ancora il cuculo cantare”. Schilpario tra guerra e guerra civile (1940-1945), Il filo di Arianna, Bergamo, 2012, pp. 190,198-199.